La cultura degli stazzi, la Gallura che non ti aspetti

La cultura degli stazzi, la Gallura nella sua forma più pura

Oggi la Gallura ha un aspetto molto, molto diverso anche solo da 50 anni fa.

L’ampia area che va da Budoni a Villalba era una delle meno popolate della Sardegna, e la sua economia si basava fondamentalmente su un’agricoltura poco sviluppata, l’attività della lavorazione del sughero e l’estrazione del granito. Lasciate di qualche chilometro le cittadine di Olbia, Tempio e La Maddalena, la campagna si presentava sostanzialmente come era nel 1700, ovvero con una tipica forma di gestione del territorio, quella che oggi chiamiamo la cultura degli stazzi.

Se siete curiosi di sapere quanto la Gallura possa essere stata lontana dalla Costa Smeralda, questa lettura di pochi minuti vi darà uno squarcio su un modo di vivere che appare lontano, ma che è stato attivo e fiorente fino a mezzo secolo fa e che è ancora oggi culturalmente presente nella società gallurese.

 

L’origine degli stazzi

La Gallura dal medioevo in poi è una terra quasi deserta, abitata da poche migliaia di persone. I grandi feudi appartengono alla nobiltà spagnola, lontana e sostanzialmente priva di controllo sul territorio.
Più che con il resto della Sardegna, la Gallura ha già evidenti legami culturali e linguistici con la Corsica e talvolta i suoi abitanti vengono definiti corsi dagli altri sardi.

La nascita dei primi stazzi si fa risalire alla fine del 1600, causata da due fattori. L’emigrazione dal sud della Corsica di diversi nuclei familiari (non è chiaro se per carestia o per motivi legati a faide locali) e per il cambiamento del modello di pastorizia, che da errante divenne stanziale. La mancanza di centri abitati e la difficoltà negli spostamenti ha come soluzione la creazione di un tipo di società autonomo e sostanzialmente autosufficiente, quello costituito dagli stazzi e cussogghj, che sono piccoli agglomerati di stazzi.

 

Stazzo vuol dire non dover dipendere da nessuno

Non si immagini lo stazzo simile ad una casetta e orticello. Lo stazzo era più simile, in termini di dimensioni, ad un ranch. Un appezzamento di terreno ampio in media dai 100 ettari in su. Al suo interno campi per le coltivazioni, ampie aree per il pascolo, boschi per la legna, almeno un corso d’acqua e diversi pozzi, talvolta una vigna. E poi capanni per gli attrezzi, magazzini, spesso nascondigli ben mimetizzati. Questa ampiezza in termini territoriali tuttavia non deve far pensare ad una situazione di benessere. La vita dello stazzo era tutt’altro che comoda, ma la sostanziale indipendenza di questa forma di vita la poteva rendere più accettabile rispetto a quella di bracciante. Per questo motivo gli stazzi aumentano numericamente nel tempo, divenendo parte integrante del territorio anche in termini demografici. Il comune di Arzachena (dove per capirci sorge Porto Cervo) diventerà tale perché gli abitanti degli stazzi, più numerosi, voteranno nel 1922 per staccarsi dal comune di Tempio e creare il proprio municipio.

 

L’organizzazione sociale degli stazzi

La cultura degli stazzi aveva una organizzazione sociale abbastanza precisa, in cui i compiti erano ben definiti per tutti gli elementi del nucleo familiare, bambini compresi. Gli uomini erano “multitasking” per necessità: contadini, allevatori (negli stazzi la prevalenza è di bovini rispetto agli ovini), vignaioli. L’uomo era poi anche falegname, maniscalco, all’occorrenza veterinario. Ma la vita delle donne era se possibile anche più dura. Oltre alla cura dei figli ed alle faccende domestiche, le donne fin da piccole imparavano a tessere ed a rendersi utili quanto e più degli uomini. Letteralmente ogni attività era però scandita dai tempi della natura, che regolava le lavorazioni agricole e pastorali. Ogni cosa era scandita dal passare delle stagioni.
Ugualmente fondamentali in termini funzionali erano le attività fatte all’interno della cussogghja, l’insieme degli stazzi tra loro vicini. In primo luogo la mutua assistenza garantita da consuetudini come la manialìa, il lavoro manuale dei vicini per attività che il singolo non avrebbe potuto risolvere, la punitura, una sorta di prestito senza interesse, la paradura che consentiva di ricostruire il gregge in caso di abigeato.
I momenti di socializzazione nella cultura degli stazzi hanno spesso luogo nelle numerose chiese campestri o scanditi ancora una volta dalla natura (le attività del raccolto, la vendemmia ecc…) . L’amministrazione della giustizia, invece, era estremamente “libera”, nel senso che i reati non erano quasi mai denunciati. La vendetta, in mancanza di accordo tra le parti, era l’unica soluzione. Il bandito tuttavia non era visto sempre come un pericolo, ma piuttosto come una persona caduta in disgrazia per motivi d’onore e dunque protetto in questa società che con lo Stato aveva davvero poco a che fare.

 

La funzionalità architettonica degli stazzi

Quelli che oggi sono rivenduti a caro prezzo lussuosamente ristrutturati erano in realtà costruzioni umili e senza comodità.
Fino ai primi dell’800, ovvero fino a che non terminarono definitivamente le incursioni piratesche, lu  stazzu era costruito in modo da non essere visibile dal mare e comunque riparato dai venti.

All’esterno si presentava con un unico caseggiato costruito in solidi cantari di granito. Il tetto era sempre spiovente, e la lunga trave centrale in ginepro, dette trai tolta, tutt’oggi è l’elemento architettonico fondamentale della costruzione.  L’ingresso era esposto a sud, e generalmente si affacciava sulla strada di accesso mentre ai suoi lati si aprivano due piccole finestre, i balcunitti.
Su di un lato, addossata al muro dello stazzo, era spesso presente una contro massicciata fatta anch’essa in blocchi di granito, detta strada che a dispetto del nome era in pratica una seduta simile ad una panca.
Internamente, a seconda della ricchezza, l’ambiente poteva essere unico, e serviva da cucina, ambiente per il lavoro e da camera da letto, o potevano esserci più ambienti suddivisi per i vari utilizzi. In ogni caso le provviste deperibili venivano poste a Nord mentre quelle non deperibili in un solaio.  L’arredamento era essenziale anche negli stazzi dei più abbienti, mentre il letto era un elemento non essenziale per molti non abbienti.

La cultura degli stazzi, oggi

Lu stazzu come elemento economico e produttivo termina nei fatti il suo percorso negli anni ‘70 del secolo scorso. La meccanizzazione agricola, la diffusione dell’elettricità anche nelle campagne, il benessere portato dal turismo ed un’agricoltura non più di sussistenza ma votata al mercato (in particolare i pregiati vigneti) hanno dato una nuova impronta all’aspetto della campagna gallurese, e non solo sulla costa. Oggi gli stazzi, spesso posti in posizioni irripetibili, ampio terreno circostante e ristrutturati lussuosamente, hanno valori di mercato vicini alle ville della costa.
Ma non tutto è scomparso.
Le decine di chiese campestri disseminate nel territorio e le altrettante feste che vi si celebrano ogni anno anche in città ormai multietniche come Olbia sono il retaggio di questo passato in cui le giovani generazioni continuano a partecipare attivamente. La costanza con cui il gallurese è parlato anche oggi, la creazione di un teatro e di un archivio musicale che ne custodiscono la memoria sono figli di questo senso di identità diffuso.
In ultimo, la naturale predisposizione del gallurese al fare impresa deriva da questa aspirazione di indipendenza economica, erede della cultura degli stazzi.

 

Se partite da uno dei nostri hotel di Santa Teresa Gallura , Arzachena, Baja Sardinia, Olbia e Porto San Paolo e viaggiate nelle nostre campagne siamo certi vi imbatterete in uno stazzo.
Oggi ne sapete qualcosa di più.

Condividi

Prenota

Iscrizione alla Newsletter

Inviando questa richiesta, confermo di aver letto l'Informativa sulla Privacy e acconsento che i miei dati vengano elaborati in modo da fornire il servizio richiesto. Vedi l'informativa